Barriquisti e Antibarriquisti
Stavo pensando a cosa succederebbe se il linguaggio politico, in particolare quello inventato dal Presidente del Consiglio, incentrato più sulle definizioni ideologiche dei suoi competitor che sui fatti veri e propri, venisse adottato nel mondo dell’enogastronomia. Diventerebbe un mondo dove se uno sente il tappo nel vino, non è perchè ne avverte il sentore ma perchè è lui che è “antisugherista”. O “siliconista”. O peggio “vetero-tappovitista”. Sarebbe appassionante la lotta interna fra “bollicinisti”, coi prosecchisti veneti a urlare ai franciacortini “Siete i soliti vecchi champagnisti di sempre!” e questi di rimando “Chi non salta prosecchista è, è!”. Ci sarebbero produttori bio che dichiarano: “Ho già dimostrato al di là di ogni incontrovertibile dubbio che la solforosa non esiste”. Forse però ci si potrebbe anche comprare una bella tenuta nelle Marche e poi farci il Chianti, perchè no? Si cambia il disciplinare del Chianti senza problemi, si fa “ad tenutam”.
In cucina ci sarebbero gli “antimolecolaristi” gli “antiadriaisti”, i “creativisti” ma forse anche i “tecnoemozionalisti” e di sicuro, come in politica, “i vecchi professionisti della cassoela”, oltre a ristoranti che potrebbero esibire chef che vengono “dalla società civile” anzichè dalle cucine.
E non potrebbe mancare il “teatrino delle stelle Michelin”. Immagina che strilli a Merano o a Verona a discuter di botti dopo qualche bicchiere, coi barriquisti che urlano “Vergogna! L’unica cosa che vi tiene uniti è l’odio per la barrique!” e gli antibarriquisti di rimando “Non cambiate mai! Siete i soliti vecchi legnopiccolisti!”. “Brunellista!” “Antisauvignoniano!”. Ci sarebbero anche i giornalisti Responsabili (dei cripto-scilipotiani) pronti a diventare tavernelliani o tetrapackisti, folgorati sulla via di un viaggio stampa, tutto è possibile.
(da Chef, maggio 2011)