L’Agriturismo più furbo del mondo (intervista inventata 1)

Volevamo leggere un’intervista un po’ diversa al patron di una grande tenuta italiana che produce vino ed olio, ma che ha anche un apprezzato ristorante del territorio. Per essere sicuri che le risposte ci piacessero ce le siamo direttamente inventate noi.
Come nasce il vostro vino?
Nasce in cantina, non certo in vigna. Qui in Tenuta Cà Furbin della vigna ci frega meno di zero. A noi la vigna ci piace mandarla in malora. Anche perché abbiamo un enologo super, un chimico più che altro. È lui che aggiusta tutto. Un po’ di pratiche di cantina, di microcose, e tutto va al suo posto. Otteniamo un vino che piace al consumatore. E il giudizio del consumatore per noi è l’unico che conta.
Cosa pensa dei vitigni autoctoni?
Gli autoctoni per come la vediamo noi se ne possono tranquillamente andare affanculo. O meglio, ci interessano nella misura in cui vanno di moda. In quel caso viva gli autoctoni, allora li facciamo anche noi.
Lei pensa che un vino debba rispecchiare l’identità del terroir?
Guardi, il terroir è una bufala che avete inventato voi giornalisti. Siete stati bravi però, alla gente il concetto è piaciuto. Tanto che adesso lo sfruttiamo anche noi. Pensi al claim della nostra ultima campagna: “Cà Furbin, terroir quotidiano”. Per sottolineare il fatto che il nostro è un terroir che te lo puoi portare a casa tutti i giorni, a prezzi contenuti. Per parafrasare Ennio Doris potremmo dire “un terroir costruito intorno a te”.
Avete anche un ristorante nella vostra tenuta
“Si certo come le dicevo lo facciamo per seguire la moda. Avere anche il ristorante non solo incrementa i nostri guadagni ma da anche al tutto una parvenza più autentica, più familiare direi”.
E la gente apprezza?
Si beve tutto volentieri. In tutti i sensi.
E l’olio? Mi lasci indovinare: ne fate poco, solo per gli amici, non è il vostro business…
Bravo! Vedo che si è sintonizzato sulla nostra mentalità! Questo è proprio ciò che dichiariamo noi. Ed effettivamente l’olio lo facciamo solo per i nostri amici. Che sono circa centocinquantamila, come le bottiglie che produciamo.
Come vede lei nella struttura di un vino la componente data dall’affinamento in legno?
È presto detto: abbiamo la linea “easy drink” che facciamo senza passaggio in legno. Poi la linea che abbiamo denominato “barrique”. Questa la facciamo buttando nelle vasche di fermentazione dei trucioli di legno, così alla brutto Dio per intenderci. Prima i saputelli volevano solo il vino passato in barrique, adesso invece va di moda dire che c’è troppo legno. E noi ci siamo fatti trovare pronti.
Qual è la filosofia del vostro chef?
L’assoluto disinteresse per il prodotto. Facciamo cotture lunghe in modo da sfiancare completamente la materia prima. Alla fine la rendiamo irriconoscibile. Questo è il motivo per cui possiamo anche permetterci ingredienti non di prima qualità. A noi piace dire che è il nostro segreto.
Lo chef ama poi la complicazione: aggiungere ingredienti e rifuggire la semplicità. Salse pesanti, abbondanza di condimenti e non essere timidi col sale. Ecco la nostra filosofia. E i clienti apprezzano. Altro che nouvelle cuisine o cucina creativa!

(da Horeca, maggio 2010)


24.10.2014 / + + +